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Nella Russia dalle immense ricchezze di energia, nonostante le grandi potenzialità, lo sviluppo di fonti alternative è ancora agli albori. Per soddisfare l’export e i consumi in forte crescita, il gigante russo punta quasi esclusivamente sulle energie fossili (oltre il 90 per cento della produzione annua) utilizzate sempre più in chiave di strumento politico ed economico come evidenziano le crisi con Ucraina e Bielorussia e il braccio di ferro con le compagnie straniere per controllare lo sfruttamento dei suoi giacimenti. Prima al mondo per riserve di metano, l’ex Unione Sovietica trae da questa fonte oltre la metà (54%) del suo fabbisogno energetico; il resto deriva da petrolio (20%), carbone (16,5%) e nucleare (6%), mentre le rinnovabili non superano il 3,5% del totale. Più precisamente secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA - www.igea.org), dei 641 mila Ktoe consumati ogni anno in Russia ben 346 mila derivano dal gas, 128 mila dal petrolio, 106 mila dal carbone. Il nucleare fornisce 38 mila Ktoe, l’idroelettrico 15 mila Ktoe, i rifiuti 7 mila Ktoe, l’eolico, geotermia, solare etc. insieme, non superano i 1.000 Ktoe. Un contributo decisivo per lo sviluppo delle rinnovabili in Russia può venire dai prestiti internazionali. Recentemente la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) ha disposto un finanziamento di 185 milioni di euro per un programma quinquennale di modernizzazione del settore idroelettrico. Il progetto, del valore di 764 milioni di euro, punta ad allungare di almeno 25 anni l'operatività di quattro centrali presso la cascata del Volga-Kama. La Banca ha inoltre promosso un finanziamento da parte della Spagna per lo sviluppo di un quadro normativo di incentivazione alle rinnovabili e, sempre grazie a un finanziamento di 100 milioni della BERS, già da 7 anni è entrato in funzione l’impianto geotermico a Mutnovskaya. Ma c’è anche un altro settore dalle grandissime potenzialità e altamente strategico: quello del risparmio e dell’efficienza energetica. Oggi la Russia è tra i maggiori consumatori mondiali, terza dopo Stati Uniti e Cina. Negli ultimi 4 anni i suoi consumi di gas sono cresciuti del 18% e un incremento consistente è previsto anche per i prossimi anni, specie nell'industria e nel settore residenziale. Applicando tecnologie innovative per migliorare il rendimento si potrebbero risparmiare fino 30 miliardi di metri cubi di gas l’anno, con una riduzione di 150 milioni di tonnellate di anidride carbonica (equivalenti che potrebbero essere venduti alle ‘Borse dei fumi’ sui mercati esteri per l’attuazione del Protocollo di Kyoto, ratificato da Mosca nel 2004). Nonostante la politica sempre più aggressiva del Cremlino, l’industria energetica russa è un colosso minato da numerose fragilità, come l’elevata dipendenza dagli idrocarburi che espone il Pil alla volatilità delle quotazioni, ma anche l’insufficienza della rete di trasporto, l’incertezza del quadro legislativo e politico, la maturità dei giacimenti a cominciare dai cosiddetti ''Big Three'', i tre giganti siberiani Urengoy, Yamburg, Medvezh'ye ormai in fase di declino; inoltre, la ricerca di nuove risorse, la manutenzione e lo sviluppo del sistema di infrastrutture, necessitano di ingenti capitali mentre il nuovo corso politico tende a rinazionalizzare le società energetiche e al controllo dello stato nello sfruttamento delle risorse in territorio russo, cosa che allontana gli investimenti esteri necessari a espandere la capacità produttiva.
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